UNBRANDHEAD Blog marketing & comunicazione smarchiata


LA FIDUCIA ELETTRONICA

L’incontro al meet the media guru con DE KERCKHOVE +
LOST FINALE +
FACEBOOK LIKE suggestions

IL DISCORSO INTERPERSONALE

Oltre al fatto che lost sia la migliore serie Tv della storia, è la prima serie Tv 2.0.
A questo proposito ottime riflessioni su touchet.splinder.com e su nextmedia and society .org. Milioni di blogger per sei anni hanno creato e alimentato la storia. La vera storia. Si perchè quella narrata è un opera aperta come direbbe Eco, un insieme di suggestioni che devono essere fatte proprie dal lettore che le interpreta e ricostruisce sulla base della sua cultura, del suo vissuto. Per sei anni perfetti sconosciuti riuniti nella passione per una storia informavano gli altri, In-formare nel senso di dare forma a questa storia, renderla maneggiabile. Le persone si lasciavano suggestionare e poi inferivano costruendo il vero senso di lost. Una storia che diventa un discorso interpersonale. Una storia che diventa collettiva ( emozione -TV) e connettiva (cognizione – rete).

ORALITA’ SCRITTA

E’ a questo punto che salta fuori il discepolo di McLuhan. Ho cominciato ad ascoltare Derrick obi wan de Kerckhove al MTMG venerdi ho finito lunedi sera in video. L’aspetto più importante della conferenza secondo me riguarda il passagio dal punto di vista -il personaggio, la focalizzazione della narrazione- al punto di essere-la focalizzazione è dentro di noi perchè la storia siamo noi. Viviamo immersi nella storia dell’umanità raccontata e publicata. La rete (computer+telefono) fa nascere una nuova società quella dell’oralità scritta. Per la prima volta nella storia del mondo disponiamo di uno strumento che nello stesso tempo sviluppa la personalità del singolo e la sua socializzazione, sviluppa il privato ed il pubblico, l’oralità e l’archivio della memoria, il singolo e il molteplice. “La cultura orale aveva responsabilità verso il clan la famiglia il pubblico la comunità, aveva la vergona come responso della responsabilità dell’oggetto pertinente. La cultura privata della scrittura appropria la vergona e la trasforma con responsabilità verso di se. La colpevolezza che era eliminata nel nostro essere da Freud puntando il dito sulle origini della responsabilità. Ora ritorna. Passando dalla vergona alla colpevolezza. La responsabilità sociale è ciò verso cui stiamo andando incontro, una responsabilità condivisa che ogni giorno con le nostre conversazioni in rete oggettiviamo” Queste le sue parole il 21/5/20010. Avevo proposto delle domande da fargli me le hanno riportate emtrambe. Ringrazio Alberto D’Ottavi e Maria Grazia Mattei. Anche se l’articolazione precisa del quesito era questa:

Nel 2004 agli webdays a Torino parlando del 2.0 De Kerckhove disse che erano un fenomeno che stava favorendo la creazione di una nuova fiducia elettronica tra le persone in rete. Nel 2004 cerano i blog, wikipedia e secondlife, non cerano YOUTUBE, MYSPACE, FACEBOOK, TWITTER, NO SOCIAL NETWORKS. In 6 anni le persone in rete sono cambiate. Prima erano nickname/avatar/doppi di noi stessi, una situazione di semianonimato che se da una parte faceva venire meno responsabilità, dall’altra toglieva inibizioni e ci consentiva di esprimere liberamente il nostro io. Ora siamo sempre più noi stessi, nome cognome data di nascita residenza istruzione, il “mondo off line caricato on line” in cui aumenta sicuramente il grado di responsabiltà ma inibisce la libertà di espressione. E’ possibile che aumentando la responsabilità venga meno la fiducia? La fiducia è una congiuntura? Un momento storico nel quale abbiamo ridefinito il concetto di comunicazione (cristallizzata in comunicazione di massa), e nel quale ci siamo trovati davanti ad un nuovo soggetto, un soggetto che non sta in alto su un antenna ma sta alla nostra altezza, dall’altra parte del monitor e a cui possiamo rispondere?

EMPATIA IN RETE

Sherry Turkle ha sempre parlato di un “virtual second self” ora invece “this metaphor doesn’t go far enough. Our new online intimacies create a world in which it makes sense to speak of a new state of the self, itself”. Siamo sempre più noi, sempre più responsabili delle nostre azioni in rete questo vuol dire essere meno sinceri? “L’anonimato del sè puo ridurre il senso di responsabilità e deferenza verso gli altri e l’ansia da valutazione, cioè la preoccupazione di non essere giudicati positivamente. Ciò consente un sostanziale abbassamento delle difese inibitorie e facilita l’espressione pulsionale, esattamente come la classica situazione analitica freudiana. Sicuri di non essere riconosciuti, le persone si sentono meno inibite nel manifestare i propri pensieri e desideri e nell’esprimere l’autentico Sè senza dover cedere a comportamenti conformistici. Risulta chiaro lo stretto legame esistente tra indentità virtuale e identità personale e sarebbe un grosso errore considerare la prima solo una finzione e soltanto la seconda reale. Potremmo dire che reale è solo ciò che trasfigura, che toglie i veli della finzione per attingere all’essenziale, al vero e in questo senso l’identità virtuale è più vera di quella reale.”
Penso che la prima fiducia elettronica fosse inspirata da un meccanismo piscologico molto semplice, il riconoscimento.
Io mi fido del perfetto sconosciuto dall’altra parte del monitor perchè non essendo nessuno poteva essere chiunque, non essendo taggato con la realtà, mi era più facile riconoscermi in lui. La fiducia è come ha ribadito De Kerckhove una delle cose più importanti su internet. Questo “social-trasferimento di fiducia” è in sempre maggiore crescita come rileva questa rilevazione sulla famiglia italiana non + cosi recente ma molto significativa.
Le persone leggono, consultano e si confrontano con le altre persone in “momenti di vita” particolari, per risolvere problemi “just in time”, oppure semplicemente per condividere le proprie esperienze. C’è sempre più interesse per le storie di vita, per aneddotica, episodi, situazioni di vita vissuta in cui immedesimarsi e assumere sentimenti e sofferenze come se fossero i propri. Si va alla ricerca dell’empatia in rete, un empatia di gruppo, di community relata ad interessi o passioni particolari (attesa per l’ultimo prodotto apple) oppure legati a momenti di vita neomamme.net.
Questa “ermenetutica digitale” questa esperienza vissuta vicariamente, mediata dal racconto/dialogo digitale di altri come noi ma assunta come pezzo del nostro racconto personale è il motore del trust.

IL MIO VICINO DI CASA

Non ci vado molto d’accordo. Eppure è mio amico su FB. E’ interessante notare come i dati condivisi in FB favoriscano clustering su base geografica. Siamo sempre più “noi” anche online, sempre più loggati e scambiamo sempre più dati dal carattere informazionele rispetto a quello espressivo. Dalla conferenza di Facebook f8 ho cominciato a chiedermi se i like fossero una buona cosa o no. Ora che il linguaggio del cazzeggio del mi piace è uscito dall pagina blu e si è sparso nel web questi like hanno un reale significato e un effettiva efficacia? Che peso specifico ha un mi piace? E poi un prodotto molto likeato dai miei amici ha un plus determinante di trust, ha un buon impatto sulle mie scelte? Io voglio veramente il paio di pantaloni del mio vicino di casa? Non era nella rete che volevo ricercare e costruire assieme ai miei gruppi di riferimiento la mia coscienza e unicità? Facebook non mi riporta forse alla rete sociale del paese/quartiere che fuggiamo quando siamo in linea? La vera portata rivoluzionaria della rete non era l’esplosione delle possibilità del mondo e la scoperta di chi è come noi? Amici o amici di amici che mi consigliano merci con un like. Conoscenti che rendono visibili le loro preferenze. E allora? Se penso a Granovetter e la forza dei legami deboli dico si ok i cluster altamente connessi e i piccoli ma fondamentali ponti di collegamento che permettono lo scambio e la comunicazione ma la fiducia dipende molto dal fattore ambientale. L’ambiente Facebook sparso per il web grazie all’opengraph è un ambiente comunicativo troppo provvisorio, effimero, generalista e cazzeggiante e inoltre la qualità delle info delle conversazioni e quindi la fiducia, diminuisce con l’aumentare delle dimensioni dei gruppo che prendiamo come riferimento. Penso che però il vero problema sia la percezione di fiducia della della fonte di questi like: il tentativo di Facebook di mappare il web non come collegamento di documenti ma come collegamento di persone. Come fidarci dei like di facebook se proprio facebook fa di tutto per non farci fidare di lui?

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